Nei RACCONTI di Pungitopo oggi un inedito.
Dai suoi ultimi scritti come sempre ambientati in Alta Garfagnana, ancora un ricordo al quale ha tentato di far assumere la forma di racconto.
Così come lo ha vissuto così come lo ricorda, lo propone con la semplicità di sempre ai lettori di SENSAZIONE NATURA.
"QUELLE LUCI NELLA NOTTE".
Partivamo sempre al mattino presto, per andare a trascorrere un periodo di ferie a Capanne di Sillano.
Partivamo sempre al mattino presto, perchè quelli erano i periodi del “grande esodo”, erano quei fantastici anni durante i quali in estate il popolo Italiano celebrava il “rito delle ferie”.
Per evitare la tanto temuta “colonna di auto” partivamo quindi di buon ora, praticavamo le famose “partenze intelligenti” !!!.
Iniziavamo a risalire la valle del Serchio, alle prime luci del mattino, iniziando a godere di quei colori di quei profumi che da quel momento in poi non ci avrebbero più lasciato.
Arrivavamo al paese, con grande sollievo di mia Mamma, finalmente le tanto da lei temute curve erano terminate.
Entrati a Capanne, già si notava che il borgo aveva iniziato pian piano a riempirsi.
Si tornava al paese da diverse località, da dove chi “emigrato” in tempi passati aveva stabilito il proprio domicilio aveva trovato lavoro, aveva messo su famiglia.
Qualcuno tornava anche da pesi stranieri, come la Francia, dove magari i nonni e poi i genitori si erano stabiliti da tempi lontani.
Partire per la Francia era già frequente ai tempi dei “nonni” che vi si recavano per cercare una situazione più decente di quella misera e dura, offerta dalla montagna in quei lontanissimi periodi
Anche mio Nonno Angelo con sua moglie la Nonna Adele, partirono alla volta di quella nazione, immaginatevi cosa voleva dire a quei tempi partire ed affrontare un viaggio di quella portata!!!.
Con un carro trainato da un mulo, con sopra le loro poche misere cose, si incamminavano verso la Francia cosa ci voleva....niente, solo tanta disperazione e una infinita speranza!!!.
Non andavano certamente per un “posto in banca”, andavano (soprattutto gli uomini), per trovare impiego presso una miniera, magari con la speranza di trovarlo, la speranza era quindi quella di entrare ogni giorno in una oscura miniera e sperare di uscirne vivo alla sera, per poi il mattino seguente poter ritornare...a sperare.
Erano altri tempi, erano altri uomini e donne....loro lo facevano, lo hanno fatto, hanno dovuto farlo!!.
Molti si sono poi stabiliti in territorio francese, ma non hanno mai rinnegato le loro origini, il ritorno anche se per breve periodo al paesello ne era la conferma.
Io credo che quei viaggi antichi abbiano influito anche nel dialetto Capannino, secondo me ci sono degli idiomi che riportano immediatamente al francese,... (dialetto che purtroppo non ho mai imparato e di questo me ne dispiaccio)..ma questa è una pura e semplice mia supposizione.
Mio Babbo e mio Zio Sergio, parlavano sempre in dialetto, adesso che non ci sono più, quando ho voglia di sentirlo, vado da mia Zia Libera che abita di fianco a casa mia e lei durante le nostre discussioni mi parla in dialetto.
Quindi tutti tornavano a “casa” durante l'estate, ed il piccolo paesino sperduto tra i monti dell' Alta Garfagnana tornava a vivere.
Tanta era la gente che ritornava che addirittura, per non intasare le piccole viuzze con le auto gli uomini decisero di portarle fuori paese, anzi sopra il paese, visto che questo risulta molto più in basso rispetto alla via principale che porta al Passo di Pradarena, confine tra la Toscana e l' Emilia Romagna.
Iniziava quello straordinario periodo dedicato al dolce far niente, fuori dal mondo, fuori del tempo, scandito solo dalla felicità di ritrovarsi ogni anno sempre insieme e dal divertimento che ne sarebbe inevitabilmente scaturito.
Ovviamente l'attività principale per quasi tutti consisteva nell'andare a funghi, oppure sistemare le abitazioni, gli orti o giardini o starsene semplicemente beatamente sotto un castagno o un melo a fare proprio...un bel niente.
Dalle case, dalle finestre aperte all'ora di pranzo uscivano odori di ragù, coniglio al forno, patate arrosto,di funghi fritti, odori di buono, odori di felicità.
Nei prati i panni distesi sull'erba ad asciugare, profumavano anch'essi di pulito, di buono.
In tutto il piccolo borgo, senza auto…. uno schiamazzare di bimbi e di uccelli.
E intorno, tutto quel verde che con il suo abbraccio sembrava voler proteggere quel paese, quella gente, sembrava voler proteggere tutta quella felicità.
Sul far della sera prima di cena, il luogo deputato per gli incontri sia per grandi e piccini era l'aia.
L'aia da sempre è stato luogo prescelto per incontri, scontri o scambi, l'aia rappresentava l'ombelico del mondo, tutto e tutti passavano inevitabilmente per l'aia.
Tutto è passato dall’aia anche i nazisti!!!.
Ci si incontrava si parlava, si scherzava si ricordava si programmava, tutto veniva fatto rigorosamente sull'aia.
Al punto che la sera diventava una delle più belle sale da ballo a cielo aperto, sotto le stelle e...che stelle.
La sera..”taca banda”...vai col “lissio”, erano i tempi che con due dischi di musica da ballo liscio, un giradischi e tanta voglia di stare insieme, in “quattro e quattr'otto”, usciva fuori una serata da matti.
Appena buio partiva la festa e gli adulti iniziavano a ballare ballavano, ballavano come non lo avessero mai fatto, ballavano come se fosse l'ultima volta che lo avrebbero fatto, quanto ballavano.
A volte distanti a volte vicini quasi a voler rievocare “quei contatti”, che magari in gioventù lontano da occhi vigili o indiscreti, in un campo di fieno, di segala o in una stalla...avevano avuto....birboni!!!.
Noi piccoli o fanciulli, li guardavamo divertiti, musica ballo e bimbi è da sempre connubio perfetto.
Ma soprattutto aspettavamo i dolci che le donne preparavano sempre per la serata, crostate di marmellata e biscotti a volontà, spumante bibite e vino e la serata prendeva sempre più forma.
Nessuno sapeva mai che ora fosse, che necessità c'era di saperlo, per quale motivo !!!.
Ricordo chiaramente che durante una di queste serate sull'aia, ad un certo punto, a qualcuno degli uomini venne in mente una straordinaria idea.
Era tempo di segala da tagliare e allora si disse:...”quanto tempo è che la maggior parte di noi non taglia??... allora...stasera si taglia!!!”.
Passati i primi momenti di sbigottimento, ognuno sparisce per ricomparire armato di falcino e luce, gli uomini avrebbero tagliato, ormai era deciso, si sarebbe fatto!!!.
Si formò ben presto una piccola processione festante, ci recammo in un campetto, non ricordo magari di chi fosse, ma quello fu scelto e di li a poco avrei assistito ad una delle scene più belle che posso ricordare e soprattutto rivivere..
In montagna, a Capanne si coltivavano i piccoli campi ricavati nella piana.. (quel piccolo altipiano dove in tempi antichissimi si fermarono le truppe Romane bloccate da un rigido inverno, vedi sevizio (In Garfagnana con Pungitopo su sez. Località, foto) … si coltivavano a patate, a fieno e a segala...o segale.
Caratteristico era il trasporto sia del fieno o della segala una volta tagliato.
Veniva accomodato dentro enormi cestoni ottenuti dall’intreccio di rami di salice, ma enormi così enormi che gli uomini e le donne una volta che in perfetto equilibrio li trasportavano sulla testa verso le stalle o i cortili assumevano la forma di enormi funghi, enormi funghi che si muovevano veloci precisi, quasi senza sosta.
Viaggio dopo viaggio trasportavano quintali e quintali di peso, facevano anche questo...lo dovevano fare!!!.
Tornando a quella magica serata.
Noi bimbi ci sistemammo in un posizione più elevata rispetto al campo, dove gli uomini accesero ”quelle luci nella notte”, volevamo vedere, volevamo capire.
La luce prodotta da quelle luci sembrava scomparire in quell’immenso buio ma si intonava perfettamente con ciò che si poteva vedere e anche con ciò che non si poteva vedere.
Quelle luci sembravano sorelle di stelle scese in terra assieme a quegli uomini, che intonando dei canti in dialetto iniziarono a rievocare quei gesti che chissà quante volte a malincuore o contro voglia avevano dovuto a fare.
Ma quella sera erano felici erano estremamente felici e cantavano scherzavano e tagliavano, con tanta gioia da apparire quasi come un ringraziamento nei confronti di chi, o di che cosa, avesse permesso loro di ritrovarsi ancora una volta tutti insieme.
Nessuno sapeva che ora fosse, che necessità c'era di saperlo, per quale motivo!!!.
Tagliarono e sistemarono il raccolto con una velocità impressionante, nessuno aveva dimenticato ciò che i loro genitori avevano necessariamente dovuto insegnare loro..
Tra le risate e la soddisfazione generale, spensero quelle luci nella notte restituendo alle stelle il compito di illuminare il buio di quella splendida parte di mondo, accompagnate dal suono di migliaia di grilli e dal chiaro gracidar di rane.
Ci incamminammo tutti di nuovo insieme verso l'aia, io felice tra mio Babbo (che era sempre uno degli organizzatori di quegli eventi)...e mia Mamma, saltellavo felice con ancora negli occhi e soprattutto nella mente quelle luci.
Ero felice contento e sicuro perchè da quella sera, ebbi la certezza che un domani trovandomi nel buio, nel buio più scuro non avrei mai avuto paura, non mi sarei mai trovato in difficoltà.
Ero felice contento e sicuro perchè pensai che un domani, trovandomi nel buio nel buio più scuro, mi sarebbe bastato socchiudere gli occhi ed avrei potuto vedere ancora nitide....quelle luci nella notte!!!.
Avevo dieci anni e trascorrevo felice le vacanze con mio Babbo e mia Mamma in un paesino fuori dal mondo, fuori dal tempo dove nessuno sapeva mai che ora fosse, che necessità c'era di saperlo....per quale motivo!!!. (Pungitopo)
“Si rischia tanto a credere troppo quanto a credere troppo poco” (D.Diderot).
2 commenti:
hò assistito al taglio del grano di notte con la sola luna ad illuminare,emozionante.sono passati più di cinquanta anni e ricordo il rumore della pietra che sfregava sulla falce.grazie della ciliegia.sandro
Grazie a te Sandro per i tuoi sinceri apprezzamenti.
Sono contento di rievocarti piacevoli ricordi....Stefano.
Posta un commento